Il palazzo
Non guardo mai nelle case degli altri, ma quando sono qui che aspetto Luca che esca dall’ufficio, mi annoio. Ho provato a camminare avanti e indietro per distrarmi dal nulla che avvolge la città e una serie di luci ha catturato la mia attenzione e mi sono dovuta fermare. Non ho mai osservato un palazzo attentamente: le stanze che si ripetono ad ogni piano con regolarità, i salotti e le tv in un angolo, le cucine e quei movimenti rassicuranti. Ho scorso i piani, cercato di capire che tipo di famiglie ci abitassero e poi, il viso di una donna, un movimento brusco dietro una grande finestra mi ha colpito.
Credo che tutto dipenda dal fatto che non esco di casa da 2 mesi e 20 giorni; io non lavoro e non posso uscire, in tempi come questi tutto deve essere giustificato e se a Luca non fosse stata ritirata la patente, sarei ancora rinchiusa.
La città mi spaventa ora: silenziosa e deserta. Potrei aspettare in auto con la musica accesa ma questo silenzio allo stesso tempo mi attrae, nasconde cose nuove.
Faccio pochi passi nel parcheggio, le luci del palazzo si accendono e si spengono e cerco di non guardare verso quella finestra, la seconda contando da destra al piano rialzato, perché il viso di quella donna l’altra sera mi ha spaventata e poi non ho dormito. La mia visione periferica, però, è sempre stata molto sviluppata e, anche se cerco di concentrarmi sui cartoni animati della finestra del secondo piano, vedo i capelli lunghi e mal tenuti, il viso pallido e due occhi che mi stanno fissando. Poi sento un rumore e lei scompare, le tende tirate di colpo ancora ondeggiano quando mi decido a volgere direttamente lo sguardo.
Ogni sera provo a evitarla, ma qualcosa dentro di me sente che ha bisogno di aiuto. Si sentirà sola? Avrà bisogno di parlare? So solo che dopo questo episodio la sogno ogni notte: c’è un uomo con lei, non vuole che si affacci, che parli con me.
Decido di confidarmi con Luca, lui dice che sono una visionaria, guardo troppa tv, il telegiornale ci spaventa ogni singolo giorno e io sto solo immaginando che lei venga maltrattata, che abbia bisogno di qualcuno che la aiuti. Provo a farmi convincere, ma nei giorni successivi attraverso la strada per cercare un contatto, rischiando che qualcuno mi veda e mi denunci alle autorità, perché sono in giro senza un valido motivo. Su quel marciapiede non ci posso stare.
Piantala! mi dice Luca una sera in auto mentre rientriamo ed è nervoso, non gli piace che sia io a guidare. Mi dice Piantala! Ma sono agitata, non vedevo la donna da due giorni e stasera, mentre passavo sotto la sua finestra e lei si è avvicinata al vetro, ho notato un livido sullo zigomo sinistro.
Nonostante i rimproveri di Luca e le occhiate malevole dei vicini, giovedì attraverso di nuovo la strada e infilo un biglietto con il mio numero di cellulare tra i vetri accostati. Lui però mi coglie sul fatto e mi trascina in ufficio dove un collega che abita nel palazzo mi dice che sono una coppia normale, gente tranquilla, senza figli, lei è un po’ depressa e ha un aspetto trasandato, ma è colpa del lockdown.
Hanno ragione mi dico, io non conosco quella donna e forse sono solo sconvolta da questi mesi di reclusione. Salgo in macchina e partiamo; cova in me la vergogna per aver travisato una situazione normale, essermi esposta per nulla: chi sono io per intromettermi?
Arrivo a casa agitatissima, mi butto sotto la doccia e l’ansia cresce, ho paura che si siano offesi, che mi denunceranno. Luca mi rassicura, avevo buone intenzioni ma devo imparare a farmi gli affari miei. Ho esagerato, lo so, Basta, non dirmelo più! Mi scende una lacrima ma poi il telefono si illumina nel buio di casa nostra.
Grazie. So che ci sei. Per ora mi basta.
È poco, lo so. Ma avrebbe potuto essere nulla.