Professione pendolare
Nato ad Aprile 2018 grazie al CampNanoWriMo2018, questo romanzo è stato scritto in soli 30 giorni, esattamente l’arco di tempo in cui si svolgono anche le vicende narrate.
È stato ispirato dagli aneddoti della vita da pendolare di una mia carissima amica; i racconti di vita vera, si sono poi fusi con quelli della protagonista Calista e hanno dato vita a questo romanzo che può essere idealmente diviso in due parti: una, quella del treno, tragicomica, dove le risate sono spesso usate per coprire nevrosi quotidiane e soffocare il disagio dello spostamento per decine e decine di chilometri su treni sovraffollati; in un’altra parte invece si dipanano le vicende personali di Calista, con un passato da adolescente che ha troppo sofferto e un presente da donna che si deve assumere più responsabilità di quelle che dovrebbe o, forse, potrebbe. Le due parti non sono mai però divise nettamente e, come nella vita reale, momenti lieti e divertenti, sono spesso intervallati dai drammi della vita quotidiana.
Qui sotto riporto alcune recensioni.
Commento di Cristina Raddavero, novembre 2018 da Dictamundi
Succede che se a distanza di qualche “Mercoledì”, si entra nelle settimane scandite dal ritmo monotono di una professione particolare come quella del pendolare , pass per svolgerne altre, si sale sul treno del vivere popolato di volti, tanti volti, non fosse che per la ragione di essere isola cui momentaneamente sostare dentro giornate infinite lontano dalla propria Itaca raggiunta solo a tarda sera, dipinta coi colori delle stagioni e quelli non meno vividi della vicenda personale di Cali, protagonista del nuovo romanzo di Viviana Albanese.
Cali.
Sono molto rare le occasioni di leggere il nome completo nel corso della narrazione tanto che, subito, si fatica persino un po’ a ricostruirlo questo nome desueto.
Forse a significare la “scomposizione della vita” cui fa riferimento Pirandello in Uno, Nessuno, Centomila.
Certo è che l’autoconsapevolezza di Calista traghetta nella stessa narrazione autodiegetica dal momento che è la stessa protagonista a raccontare la sua esperienza attraverso una distanza narrativa mimetica spesso rivolgendosi direttamente al lettore come stesse col medesimo conversando.
La struttura sintattica predilige un lessico quotidiano già incontrato in Mercoledì e che ne garantisce la scorrevolezza pur toccando tematiche impegnative e sofferte.
La forte inclinazione al monologo si interseca perfettamente alla parte dialogata ove spesso le parole sanno esprimersi in un silenzio spesso immaginato, tenacemente voluto pur nell’andirivieni di un confronto a due (il rapporto con Emanuele), a tre (di Calista con le sorelle), a quattro (di Calista con madre e sorelle), di nuovo a due (di Calista e la sua capa), a largo raggio (di Calista e della compagnia di brigata sul treno).
E proprio lungo i binari sfreccia l’uomo pirandelliano, l’antieroe romantico, totalmente privo di certezze colui che identifica piuttosto la certezza con e dentro un rito (squisitamente pirandelliano il ritratto di Amuchina, una pendolare ossessionata dai germi e dalle malattie solo per citare un esempio).
In tal senso, Albanese inserisce la vena umoristica nel suo romanzo sapendo regalare autentici momenti di distensione all’interno di una storia complessa le cui tematiche si danno appuntamento nella crisi di identità e dei molteplici e problematici aspetti che tante volte appaiono lontani da noi mentre , in realtà, ci abitano accanto con forti declinazioni (autolesionismo, malattia mentale, disturbi del comportamento) che l’autrice ha saputo mettere sulle pagine con la delicatezza di un bocciolo di rosa.
Commento di Pier Luigi Coda, da Dictamundi
Finalmente, al termine di una settimana convulsa, al sabato ci si sveglia presto di mattina e si fa Jogging. La prima parte del percorso è in salita, si fatica e si suda ma si affronta di passo spedito e, tutto sommato, leggero. Quando si scollina l’erta il percorso diventa più dolce e pianeggiante, lo si conosce così bene che lo si può affrontare a occhi chiusi. Certo c’è il rischio di inciampare in un avvallamento o precipitare in un dirupo, l’insidia è sempre in agguato ma la si accetta; fa parte del gioco.
Dopo l’erta della giovinezza con le sue fatiche e i suoi dolori ma anche con le sue speranze, si scollina il pianoro della quarantina, allora sembra che nelle vene pulsino solo le scorie e le amarezze del passato, che lo sguardo si annebbi e gli orizzonti della vita non siano altro che l’oscurità di un rassegnato, neppure troppo arrabbiato, tran tran quotidiano. Si corre sempre, ma ad occhi chiusi col navigatore automatico, senza vita ma guardandosi vivere. Senza avere neanche l’energia per compiangersi o alzare i pugni verso il cielo. Una mattina entri in ufficio e trovi la tua scrivania completamente svuotata: il ripiano senza agenda e matite, i cassetti ripuliti per bene e sopra la tua sedia uno scatolone dove sono riposti i tuoi effetti personali e la lettera di licenziamento. Ma l’impulso non è quello di rovesciare l’ufficio e sbattere ogni cosa all’aria, la reazione è pacata, forse stupita, ma anzi rassegnata. Nella precarietà della vita il precario è necessario per sopravvivere, quando genera sconforto e dolore si stappa una bottiglia di whiskey (1) distillato in Irlanda. Domani sarà certamente un altro giorno o, forse, sempre lo stesso che s’incolla uguale sopra le spalle.
Nell’ultimo racconto di Viviana Albanese (Professione Pendolare ed. Puntoacapo) si sente certamente l’eco di una letteratura anglosassone che osserva senza concessioni sentimentali lo spaccato di una società ostica e spesso indifferente dove ciascuno si misura e si confronta con se stesso e le proprie ineluttabili sconfitte. Penso a Sillitoe, penso a Fitzgerald a Miller, non a caso nel testo è citata Sylvia Plath che nella sublimità della sua poesia contempla la sublimità dei suoi fallimenti.
Se il sabato è la giornata dello jogging, i restanti giorni lavorativi della settimana si trascinano nell’insegna di una faticosa, direi meglio, fastidiosa ossessiva routine: sveglia sulle note de The Importance of being idle di Noel Gallagher (2), che è già tutto un programma, e sullo slogan di un altrettanto programmatico: forza e coraggio. Tutto il resto è definito da circostanze subite come un ineluttabile castigo esistenziale. Corsa per raggiungere la stazione e aspettare il treno dei pendolari: avanti e indietro, su e giù con lo sguardo sempre sull’orologio: sarà in orario?, darà la precedenza alle Freccerosse?, e la coincidenza? Timbreremo il cartellino in tempo? E la pausa caffè?
Il contorno è subìto; i compagni di viaggio, (di viaggio o di sventura?), scelti da un comune destino che obbliga a condividere un percorso obbligato; la frequentazione giornaliera ricuce i rapporti ma non gli affetti: c’è la fobica dell’igiene, la patita dei profumi e dei belletti, il dongiovanni della valle. Mentre risuona lo sferragliare delle carrozze sui binari, si scherza, si scoprono i tic, le manie, nasce anche una sorta di scanzonata complicità e ci si affibbia nomignoli di sopravissuta goliardia: Amuchina, MaxFactor, Casanova… Certamente Il panorama sociale è quello di una media borghesia laureata o diplomata: un lavoro, una carriera, insomma un certo establishment conquistato con fatica durante l’erta della giovinezza. Adesso, scollinata l’erta, il percorso si fa leggero e pianeggiante, ma il paesaggio circostante è arido; ci si è, come dire, prosciugati e ci si ritrova ripiegati nella propria solitudine di single, senza affetti, senza rifermenti sicuri. Le famiglie sono disgregate, vissute più con angoscia che come accogliente e consolante rifugio; gli affetti sono effimeri, passeggeri, si sta insieme per fuggire dalla propria solitudine e non per amore. E non basta bere una bottiglia di whiskey o di birra per sentire il calore dell’affetto sotto le lenzuola di una notte di stordimento. Il presente incespica, il futuro non ha avvenire e, ammesso che lo abbia, è offuscato dalla nebbiosa precarietà dell’esistenza dove si avanza a tentoni nel buio cercando di non cascare nel dirupo.
Sopravvivono solo le macerie del passato; quelle hanno radici forti e non affondano solo nel terreno della memoria, hanno sempre vitalità e linfa, riaffiorano in continuazione e in continuazione apportano nuove ferite, dolori che ancora non si conoscevano e che mettono in discussione anche l’illusione di una realtà che non era mai esistita. Forse non basta neppure farsi tatuare le braccia per nascondere le cicatrici della lametta da barba (Gillette? Come il nickname affibbiato?) e forse non basta neppure sperare che l’unione casuale di Cali e di Ema, i due protagonisti del racconto, possa costruire un solido castello di sogni dove infilarci le proprie solitudini. Però ci si prova e, chi sa che, qui, in questa decisione conclusiva, non nasca un briciolo di speranza.
(1) A differenza del whisky distillato in Scozia, il whiskey viene solitamente distillato in Irlanda
(2) L’importanza d’essere pigro; parole di Noel Gallagher, cantautore e chitarrista inglese, componente del complesso Oasis
“In nomen omen” Cliente Kindle, 10 gennaio 2019
Calista ci racconta in forma di diario un mese nella sua vita di pendolare, ma anche di pendolare della vita, perché c’è tutto un microcosmo da conoscere tra i vagoni del treno su cui trascorre tanta parte della giornata e così diventa difficile tenere separati i frammenti di sé, di quell’io spezzettato da un passato lacerante. Avere la possibilità di scoprire la grande forza di Calista è stato per me un dono inaspettato, in un’alternanza di gioia e dolore che rende il romanzo completo. Da leggere assolutamente!
“Un viaggio quotidiano molto coinvolgente” di Francesca Sorbilli, 11 novembre 2019
#HoLetto Professione pendolare di Viviana Albanese.
La vita di Calista, “Cali” è scandita da ritmi tanto regolari quanto frenetici. Ogni giorno infatti deve recarsi da Stazzano, la cittadina dove vive, alla stazione di Arquata Scrivia e da lì prendere il treno per Milano, dove lavora. Tutto perciò deve funzionare a puntino, senza ritardi, senza intoppi, affinché la sua giornata possa avere una chance di filare liscia. A cominciare dalla sveglia che, ogni mattina all’orario antelucano delle 5.15 la butta giù dal letto al melodioso suono della voce di Noel Gallagher con la canzone “The importance of being idle”. Una “nota di contrasto”, una scelta assolutamente fantastica da parte dell’autrice, dato che appunto Calista non può permettersi assolutamente di essere pigra o indolente…
Sul treno la attendono amici/compagni di viaggio ormai abituali, ognuno diretto al proprio luogo di lavoro come lei e ognuno con un suo soprannome, legato a una caratteristica distintiva. Teresa “Amuchina” per la sua mania di pulire e disinfettare ogni cosa, Serena “Max Factor” con un trucco sempre impeccabile, il Giampi “Casanova della Val Borbera”, Duilio detto “Tristepersempre” e così via. Ognuno con le sue manie, i suoi problemi, e i suoi racconti; una “comunità di pendolari” che, condividendo il suo destino, aiuta Cali a distrarsi e ad affrontare il mondo esterno.
Già, perché se è vero che Cali considera il pendolarismo la sua vera professione, tanto che il suo “vero lavoro” resta qualcosa di imprecisato, i momenti trascorsi in treno, pur con tutti i discorsi spinosi affrontati, i contrattempi, gli imprevisti e gli incontri bizzarri ( tra cui spicca per me il ritratto magistralmente tracciato dei due tabagisti, “Nico” e “Tina”) costituiscono un’isola felice, che la mette momentaneamente al riparo dai problemi della quotidianità. In primis, la sua capoufficio, detta il Diavolovesteprada: una donna dura, esigente e intransigente, che ha qualcosa “in comune” con Cali, qualcosa che suo malgrado la trattiene dall’abbandonare questa occupazione. Poi la famiglia, con una madre affetta da seri problemi cognitivi, due sorelle dalle quali Calista si sente sempre criticata e giudicata e un padre decisamente assente. Tutti problemi a cui lei reagisce con una soluzione tanto dolorosa quanto nascosta e segreta.
Poi però c’è il suo vicino, Emanuele, che ha anch’egli un suo dramma, un dolore che non lo abbandona, una colpa che non si perdona e una situazione familiare per certi versi simile alla sua. È il suo unico vero confidente, la persona a cui ricorre nei momenti di crisi, che la conosce sul serio e la comprende. L’unico che lei accetta di avere vicino perché come lei, ogni giorno ingaggia una lotta instancabile con la propria sofferenza, e ne porta i segni. E come lei cerca di mantenere il fragile equilibro della propria esistenza.
Ma è proprio quando questo equilibrio si spezza, quando accade qualcosa che stravolge la delicata routine di Cali e il suo mondo, e scompiglia le carte, che lei comincia a intravedere uno spiraglio di luce e nuove possibilità per sé e per la sua vita.
Questo romanzo mi ha incuriosito fin da subito, dall’annuncio della sua pubblicazione. Mi ha colpito molto anche la sua copertina, con questo disegno in bianco e nero e l’unico tocco di colore, rosso, che potrebbe essere casuale o studiatamente correlato alla storia di Calista. E una volta aperto, ci ho ritrovato tutto quello che apprezzo di questa giovane autrice e che avevo scoperto nei suoi manoscritti letti in precedenza. La sua scrittura sempre molto fluida e accurata, e soprattutto la sua capacità di indagine approfondita dei caratteri, che si svolge non tanto attraverso le descrizioni quanto piuttosto i dialoghi, il confronto talvolta pacato, altre volte drammatico e acceso tra i personaggi. Questa sua caratteristica e cifra stilistica in Professione pendolare ha raggiunto secondo me un ottimo livello di maturità. È vero che gli eventi narrati sono sempre “al servizio” di questa indagine psicologica che rimane comunque centrale e privilegiata, ma sono comunque inseriti in una trama ben costruita e non priva di colpi di scena sorprendenti ed efficaci. E in questo romanzo c’è un buon equilibrio tra toni drammatici e momenti lievi, in cui la tensione narrativa si alleggerisce, cosa che ho apprezzato molto.
Un ottimo risultato, per un’autrice che è sulla buona strada per ottenere il successo che merita. Ve lo consiglio assolutamente!!!